La Madonna di Patmos tra storia leggenda e tradizione [1]

di Gianfranco Sofia e Giovanni Gangemi [2]


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Su una terra bella e generosa, tra il verde degli ulivi e l’oro degli aranci, sorge Rosarno, cittadina operosa. Il Mésima, che ormai vecchio e sonnacchioso scende lentamente a valle, ci parla di storia, una storia antica, gloriosa. Qui, su questa terra, circa 2600 anni fa, sorse Medma, cittadina magnogreca che fu patria di Filippo, allievo di Platone. Anche a quei tempi, gli antichi progenitori dei rosarnesi coltivavano la terra, allevavano il bestiame, lavoravano sapientemente la creta. Dopo i greci ci passarono i romani; qui si fermarono gli uomini di Belisario, console di Costantinopoli, che nel 586 d. C. era venuto a difendere l’Italia dai Goti; qui si insediarono, costruendo grandi monasteri su tutta la fascia costiera che va da Taureana a Nicotera, i monaci basiliani.
Il monastero più grande e più importante, vicino Rosarno, era quello di S. Maria del Roveto o del Rovito, che aveva sede sulla collina detta Batìa o Badia, oggi, di proprietà del conte Francesco Rodi. Su questa collina, fino a circa un secolo fa, si potevano notare i resti dell’antico cenobio del quale, nel monastero di Grottaferrata, si conserva la famosa croce argentea del XII secolo, che un tal Costantino, signore di Rosarno, aveva donato in voto alla Madonna.
Nel 1980 è stata festa grande in paese: molti sono tornati da lontano a onorare Maria SS di Patmos, la sacra Regina del cielo che nel 1950 ha avuto solennemente la sua incoronazione. La tradizione dopo tanti anni di silenzio si rinnova; la grande festa non è più rionale ma coinvolge le chiese di tutti gli altri quartieri; le “Case Nuove” con la Chiesa dell’Addolorata, e “Baracche” con la Chiesa del Rosario, il centro con la Chiesa del Purgatorio, la Stazione con la Chiesa dell’Immacolata.
La sacra effigie della Madonna di Patmos era giunta a Rosarno nel lontano 1400. Così racconta la leggenda. Era l’alba del 13 agosto del 1400, il massaro Nicola Rovito di Rosarno si era alzato, come sempre di buon’ora, per recarsi alla sua masseria in contrada Carusello a qualche miglio dal mare di San Ferdinando. Il massaro non si accorse che nere nuvole nel cielo annunciavano un’imminente tempesta. Passò ancora qualche minuto e il cielo si fece più buio, l’acqua incominciò a scrosciare violentemente, mentre tuoni e fulmini rombavano in cielo. Il massaro Nicola Rovito, anche se uomo coraggioso, non sa cosa fare e comincia a invocare l’aiuto di Dio.
Mentre al buio va per la campagna cercando un riparo sente uno strano rumore, cupo, che incute spavento. Il massaro Nicola capisce che il mare, ormai molto vicino, è in paurosa tempesta ed intuendo il pericolo invoca aiuto alla Madre Santissima. E come per incanto la tempesta cessa, le onde del mare si placano e mentre ritorna il sereno riappare il sole ormai oltre l’alba. Cade in ginocchio il massaro per ringraziare Dio e la Vergine Santissima dello scampato pericolo, quando a un tratto si accorge di una cassa buttata lì tra le sterpaglie. Cerca di aprirla, ma qual è la sua meraviglia quando all’interno scopre la Nera Statua della Madonna di Patmos che sul braccio sinistro regge il Bambino Gesù.
Felice e incredulo, il buon massaro lascia gli animali al pascolo e corre al paese, dal parroco a riferire del ritrovamento. Il parroco avverte il clero, i magistrati e parte del popolo; e tutti insieme si recano in contrada Carusello. Quando vedono la sacra Immagine della Vergine, la salutano con inni di lode e decidono di portarla a Rosarno. Lo stesso massaro Rovito prepara il carro, e la cassa viene portata a Rosarno verso la chiesa. Giunti alla periferia del paese, salendo per la stradetta S. Francesco di Paola, il carro si ferma e i buoi non vogliono muoversi, malgrado il massaro continui a stimolarli col pungolo. Il popolo prende allora a spingere il carro, ma questi non si muove: è come inchiodato al terreno. Capisce il popolo che la Madonna ha scelto di avere lì la sua chiesa, e allora si dà da fare per trovare delle tavole e in poche ore tutto è pronto; la Madonna viene posta sulla baracca (che era all’altezza dell’attuale casa Polimeni, sul Corso Garibaldi) e la gente accorre numerosissima anche dai paesi vicini a rendere omaggio alla Beata Vergine Maria SS di Patmos.
Il culto della Madonna di Patmos risalirebbe comunque a data antecedente allo stesso ritrovamento. Nel monastero di S. Maria del Rovito si conservava sino al 1783, data in cui Rosarno fu devastata da un violento terremoto, un quadro raffigurante la nostra Nera Madonna. Tale culto sarebbe stato comune a tutti cenobi basiliani della zona e risalirebbe al IX secolo, quando, in conseguenza del periodo iconoclastico, i monaci di San Basilio, lasciato l’Oriente, approdarono sulle coste della Calabria portando con loro le icone delle brune Madonne salvate dalla furia devastatrice dell’Isaurico. Sino al 1822, data in cui fu forse distrutta da un violento incendio, la Sacra Statua della Madonna di Patmos, la stessa che la leggenda vuole ritrovata dal massaro Nicola Rovito, era stata oggetto di tradizionale culto del popolo rosarnese e di devoti forestieri i quali a Lei venivano per implorare particolari grazie.
Nella seconda domenica di agosto, tradizionalmente veniva celebrata la famosa festa della “Vara” con grande afflusso di popolo. Sino alla fine del 1800, per devozione veniva portata in processione per le vie del paese, la “Vara”, uno strano macchinario, ancora in uso a Messina, alto circa 10 metri e mezzo, intorno alla quale ruotavano figure allegoriche con in cima l’animella e il Padreterno. Abolita la “Vara” si usò sino al 1922, per portare in processione la Madonna Nera, il trionfino che fu poi sostituito dall’attuale tronetto.
Nel 1950, per iniziativa dell’arciprete Francesco Laganà, e per impegno del signor Saro Lopes, con l’intervento di S.E. il vescovo Enrico Nicodemo e di altri prelati, la nostra Vergine di Patmos va solennemente incoronata tra il tripudio della folla osannante di fedeli venuti da ogni contrada per rendere onore alla Madre Santissima che tutto vede e tutto può. Quel giorno così si cantava:

Da spiagge famose
giungesti a noi bruna,
le onde schiumose
ti fecero cuna
nell’alba agostana
di fronte a Rosarno
giungesti lontana.

Ritornello
Salve Maria di Patmos,
Ti coroniam Regina.
All’alba sul lido
tra roveri e spine
ti scopre tra il grido
del mare e infine
al borgo tuo caro
tra giubili cuori
ti porta il bovaro.

Ritornello
Salve Maria di Patmos,
Ti coroniam Regina.
Le turbe osannanti
con fervido ardore
implorano oranti
materno tuo amore,
sul colle, del mare
in faccia, nel sole,
innalzan l’altare.
Ritornello
Salve Maria di Patmos,
Ti coroniam Regina.
Per secoli alterni
dai calabri cuori
con modi materni
lenisti i dolori,
o Vergine amata
Languentium salus
Tu fosti chiamata.

Ritornello
Salve Maria di Patmos,
Ti coroniam Regina.
Nell’ora che pende
ch’è torbida e nera
Rosarno distende
l’amata bandiera,
di serto gemmato
Ti cinge la fronte
il popolo amato.
Ritornello
Salve Maria di Patmos,
Ti coroniam Regina.
Sei nostra salvezza
Sei nostra speranza
Celeste Purezza
Invitta Costanza
O Vergine Pia,
dal cielo ai tuoi figli addita la via.
Ritornello
Salve Maria di Patmos,
Ti coroniam Regina.

A ricordo di quello storico avvenimento, alla sinistra del portone della Chiesa Matrice di Rosarno è stata posta una lapide commemorativa ( la preghiera e il testo della lapide sono state ideate da Mons. Francesco Laganà, parroco di Rosarno, in occasione della incoronazione della Madonna di Patmos nel 1950) sulla quale così si legge:

 

IL 12 AGOSTO 1950

CELEBRANDO L’OBRE CATTOLICO IL GIUBILEO

SOTTO IL PONTIFICATO DI S.S PIO XII

SULLA PIAZZA ANTISTANTE QUESTA CHIESA MATRICE

S.E. MONS. ENRICO NICODEMO

VESCOVO DELLA DIOCESI DI MILETO

TRA LA GIOIA DEVOTA DI TUTTO IL POPOLO ROSARNESE

PROCEDEVA ALLA SOLENNE INCORONAZIONE DELLA STATUA DI

MARIA SS DI PATMOS

DECENTRATA DAL VENERABILE CAPITOLO VATICANO

NEL V CENTENARIO DEL RITROVAMENTO SUI LIDI DI ROSARNO

ALLA CUI MATERNA PROTEZIONE LA CITTA’

SI CONSACRAVA

ELEGGENDOLA A SUA CELESTE PATRONA

NEL PRIMO ANNIVERSARIO DELL’AVVENIMENTO

IL COMITATO A RICORDO

POSE.

Purtroppo la festa agostana della Madonna di Patmos dal 1980 non si celebra più. Sarebbe un avvenimento da ripristinare, un culto da riprendere e diffondere, per la sua storia, per la sua tradizione, per la grandezza della fede che da esso deriva.


[1] Il testo è un articolo pubblicato sulla testata giornalistica “Il Provinciale”, 5-11 gennaio 1985.
[2] Gianfranco Sofia ( Taurianova, 1939) è giornalista ed operatore culturale; Giovanni Gangemi ( 1933-2004) è stato insegnante e cultore di storia calabrese.

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