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Il mito di Persefone


Il mito di Persefone, la massima divinità venerata dai Medmei

di Giuseppe Lacquaniti


Persefone (detta anche Kore) era una bellissima fanciulla, figlia di Demetra, la dea della fertilità, e di Zeus, il padre degli dei. Abitava in Sicilia, nella vallata di Enna, rigogliosa di fiori. Preso dal desiderio di amore, Ades-Plutone ( fratello di Zeus) il riottoso signore del tenebroso regno dei morti, venne sulla terra e rapì Persefone, per farla sua sposa, mentre con le compagne-le ninfe Oceanine- era intenta a raccogliere fiori per i campi, trascinandola su un carro trainato da cavalli neri nella sua dimora sotterranea.
L’implorazione di aiuto di Persefone venne raccolta dalla madre Demetra, che disperata andò errabonda per la terra a cercare la figlia perduta. Nel suo peregrinare passò anche per Medma, dove, fermatasi presso una fonte fu rifocillata dalla ninfa Mesma, che le diede da bere in un’idra colma d’acqua, secondo quanto è raffigurato nelle monete che richiamano il mito.
Ritornata in Sicilia dal suo inutile girovagare, Demetra si imbattè , nell’isola di Ortigia, a Siracusa, nella ninfa Aretusa, trasformata da Artemide in una fontana sacra. Da Aretusa ebbe finalmente notizie della figlia. La ninfa infatti le rivelò che, scendendo nelle cavità infernali per attingere acqua alla sorgente sotterranea, aveva visto Persefone seduta in trono accanto ad Ades, adornata di gemme come una regina, sebbene triste per il buio e il gelo che l’avvolgeva, lontana dal calore della terra da cui, contro la sua volontà, era stata prepotentemente strappata.
A quella rivelazione Demetra andò su tutte le furie, maledicendo gli dei suoi consanguinei, compreso Zeus, padre di Persefone e fratello di Ades, che certamente aveva dato il consenso al rapimento; e si scagliò contro il genere umano, facendo sì che il suolo non producesse frutti e la carestia sterminasse ogni cosa vivente.
Le suppliche degli uomini per non essere sterminati furono così insistenti che Zeus, anche se in modo subdolo, si decise a intervenire. Inviò Hermes nel mondo sotterraneo per riportare Persefone sulla terra e restituirla alla madre, a patto però che durante la sua permanenza nell’Averno non avesse mangiato alcun cibo. Persefone, invece, proprio quel giorno aveva assaggiato i chicchi di una melagrana, rendendo così impossibile il suo ritorno sulla terra. E ciò stava a significare che sarebbe stata condannata a restare per sempre nella dimora infernale. Vistasi raggirata dallo stratagemma imbastito dal Padre degli dei, Demetra aumentò a dismisura la sua collera provocando sulla terra maggiori carestie e lutti. Stavolta Zeus fu costretto a intervenire sul serio e prendere una decisione saggia che tenesse conto del dolore di una madre sventurata, senza provocare il prevedibile risentimento del fratello Ades. Decretò, infatti, che Persefone trascorresse metà dell’anno nel mondo dei vivi in compagnia della madre Demetra e l’altra metà accanto allo sposo Ades nel regno dell’oltretomba. All’inizio della primavera, quindi, Persefone, lasciava le profondità dell’Averno, il regno della morte, per trasferirsi sulla terra, dove il suo arrivo segnava il rifluire della vita: nei campi sfiorati dallo zefiro tornavano a spuntare i fiori, le gemme riprendevano a sbocciare sugli alberi, mentre tutta la natura inondava il cielo con i suoi profumi e i suoi colori.
Il ritorno di Persefone rese tanto felice Demetra che, quale dea della fertilità, volle donare agli uomini il grano, nutrimento principale, insegnando loro l’uso dell’aratro e della falce perché coltivandolo con abilità e saggezza potessero nutrirsi e scongiurare l’afflizione delle carestie.
Quando si appressava la stagione autunnale, annunciata dall’arrivo dei primi freddi che avvizzendo le foglie rendevano spoglie le piante, e il gelo e il buio incombevano con maggiore vigore, Persefone riprendeva la strada verso l’Oltretomba per ricongiungersi allo sposo.
Un mito, questo di Persefone, che consentiva ai greci di spiegare l’avvicendarsi delle stagioni, scandito da immutabili ritmi temporali, e il perenne fluire del ciclo della natura segnato dal contrapposto alternarsi della vita e della morte.


Il brano è tratto da: Lacquaniti G., Medma, colonia di Locri Epizefiri, presentazione di Giacomo Saccomanno, coproduzione editrice Città del Sole, Virgiglio editore, 2003

Giuseppe Lacquaniti

È nato a Rosarno nel 1946. Laureato in Materie Letterarie presso la Facoltà di Magistero dell’Università di Messina. Giornalista per “La Gazzetta del Sud” e altri quotidiani e riviste. Professore di lettere al Liceo Scientifico di Rosarno. È stato tra i fondatori Centro di promozione culturale e sociale. Coautore di commedie brillanti e vicepresidente dell’Associazione teatrale calabrese e dell’Accademia d’arte drammatica della Calabria. Autore di innumerevoli pubblicazioni, fra cui “Storia di Rosarno”. Sindaco dal 1988 al 1990.