Il patrimonio culturale di Medma e la collezione rosarnese di Giovanni Gangemi
Nell’introduzione al penultimo libro sulla storia antica di Rosarno dello storico locale Giuseppe Lacquaniti, Salvatore Settis, archeologo e storico dell’arte fra i più famosi, nonché rosarnese di nascita, definì la cittadina calabrese «erede involontaria dell’antica Medma». Tale definizione racchiude in poche parole, ma in maniera alquanto efficace, l’immagine contraddittoria che l’opinione pubblica, anche calabrese, e i suoi stessi abitanti hanno avuto per diverso tempo di Rosarno: un patrimonio culturale tenacemente difeso e valorizzato da un gruppo ristretto di eruditi e cittadini illuminati, affiancati dagli enti preposti alla tutela, ma troppo spesso trascurato, quando non ignorato, dalla maggior parte della popolazione costretta da problemi stringenti e quotidiani, legati alle questioni di legalità, immigrazione, integrazione.
Tuttavia negli ultimissimi anni numerosi progetti, riguardanti la valorizzazione e la comunicazione dell’importante patrimonio archeologico locale, hanno contribuito al risveglio delle coscienze ed hanno permesso così di far pendere l’ago della bilancia in direzione di un processo di educazione alla cittadinanza del tutto nuovo, anche se paradossalmente ancorato a una conoscenza più profonda e alla rilettura del proprio passato magnogreco. La ricerca scientifica, nel suo lungo percorso, ha dato voce e significato alla grande messe di reperti che il suolo ha restituito, raccontandoci via via dell’importanza dell’antica Medma, subcolonia della celebre Locri; i rosarnesi dovrebbero adesso avvertire l’esigenza di accorciare la distanza da un passato che quanto più è sentito lontano e silente tanto più rimane inutilmente glorioso.
In tale direzione hanno già mosso i primi passi gli enti, le istituzioni e le associazioni per la promozione culturale e sociale che operano sul territorio; la loro azione ha quindi supportato e reso ancora più efficace l’impegno profuso dagli eruditi locali, da molti anni e con vicende alterne, nel divulgare la storia, la cultura e le tradizioni locali.
Fra questi ultimi, è sicuramente da annoverarsi Giovanni Gangemi (1933- 2004), maestro della scuola elementare “E. Marvasi” e cultore della storia e dell’archeologia medmea talmente impegnato e dedito da meritare nel maggio del 1991 il titolo di Ispettore onorario per la conservazione dei monumenti e degli oggetti di antichità e d’arte per la provincia di Rosarno, riconoscimento ministeriale in forza del quale ha operato per la Soprintendenza ai Beni Archeologici della Calabria fino alla sua morte.
Gli interessi che hanno mosso l’attività del Gangemi sono stati molteplici: egli è stato, infatti, redattore delle memorie storiche rosarnesi, nonché comunicatore instancabile e promotore convinto, dalle colonne di quotidiani e settimanali locali, dell’importanza del patrimonio archeologico medmeo che andava emergendo nel corso degli scavi effettuati fra la metà degli anni Settanta e l’inizio degli anni Novanta; è stato soprattutto fautore di numerose iniziative culturali, insieme ai colleghi ed amici Ugo Verzì Borgese e Giuseppe Lacquaniti. Ciò che lo ha contraddistinto in questo campo è stata la particolare attenzione riservata da ottimo maestro, ai giovani rosarnesi, addirittura ai giovanissimi allievi della scuola elementare “E. Marvasi”, ai quali ha dedicato nel corso della sua carriera da studioso amatoriale alcuni opuscoli didattici allo scopo di sensibilizzarli alla conoscenza delle origini locali.
Questa potrebbe essere una valida chiave di lettura anche per interpretare il criterio con il quale il professore raccolse, verosimilmente fra gli anni Sessanta e gli anni Novanta del Novecento, i reperti che costituivano la sua collezione: la conservazione ma soprattutto l’educazione alla conservazione ed alla valorizzazione delle testimonianze storiche ed archeologiche locali.
Molto del materiale conservato, infatti, proviene da ricognizioni “amatoriali” o da rinvenimenti fortuiti, dei quali lo stesso Gangemi era stato protagonista e che aveva annotato con scrupolo su biglietti di carta recanti, qualora possibile, la data, il punto esatto del rinvenimento e in alcuni casi persino l’ora in cui i reperti erano stati rinvenuti. Esistono però casi in cui questi bigliettini riportano i nomi di coloro che dopo aver ritrovato, in circostanze a noi non note, i reperti, li avevano consegnati al Gangemi, specialmente nella seconda metà degli anni Ottanta, quando il professore rivestiva il ruolo di direttore dell’istituendo Museo Civico di Rosarno: fra costoro, giovanissimi allievi ed ex allievi della “E. Marvasi”, ma anche cittadini comuni, allievi “morali” per così dire, che dall’esempio del Gangemi si erano sentiti motivati a consegnare materiali posseduti o rinvenuti nel territorio rosarnese o nei siti limitrofi della piana di Gioia Tauro, corrispondenti al territorio dell’antica polis di Metauros.
Contrariamente a quanto ci aspetteremmo, scrivendo di collezionismo e collezionisti, non si può dire insomma che sia stato un criterio esclusivamente estetico a guidare la raccolta del Gangemi, quanto piuttosto il rapporto diretto col territorio, guidato da una profonda conoscenza dello stesso.
Ciò ha determinato la consistenza della collezione e soprattutto la sua eterogeneità, dal momento che il Gangemi operò sicuramente senza la volontà di raccogliere una precisa tipologia o classe di materiali, mettendo insieme una raccolta che per quantità, qualità e, come vedremo, anche per lo stato di conservazione risulta assai più equiparabile all’ insieme dei reperti raccolti dopo anni di indagini archeologiche che non ad una collezione formatasi per la frequentazione del mercato antiquario da parte del collezionista.
A tali constatazioni può essere ricondotto anche il motivo per cui la collezione Gangemi ha ricevuto una certa fama dalle molteplici citazioni da parte degli eruditi locali, mentre poche sono state, invece, le pubblicazioni scientifiche ad essa riferibili, per lo più limitate a singoli reperti di notevole interesse culturale.
D’altronde il professore, contrariamente ai collezionisti più noti, non fu mai particolarmente legato al possesso dei reperti da lui rinvenuti o a lui affidati: lo dimostra il fatto che i pezzi più significativi della raccolta vennero donati dallo stesso Gangemi al Museo di Reggio Calabria già nel marzo del 1986 e poi ancora nell’aprile del 1987.
Il resto della collezione, invece, entra ufficialmente a far parte del patrimonio del Museo Archeologico di Medma nel 2004, per lascito testamentario; attualmente la maggior parte dei reperti è conservata, parzialmente inventariata, nei depositi del Museo Archeologico di Medma, mentre i pezzi più significativi sono esposti in due vetrine della Sala C, con l’eccezione dello strigile bronzeo che si trova al Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria.
Il materiale depositato nei magazzini era stato originariamente alloggiato in otto cassette numerate, mentre una cassetta più piccola si trovava nello spazio sottostante la vetrina dedicata all’area sacra di Calderazzo; attualmente i reperti sono stati alloggiati in nove cassette numerate, tutte alloggiate nel deposito. La maggior parte del materiale era stato conservato in buste, non diviso per classi o tipologie, quanto piuttosto (è possibile solo ipotizzarlo) per periodo o data di rinvenimento. Molti dei pezzi sono frammentari, alcuni addirittura non ancora lavati, altri ricomposti, probabilmente dallo stesso professore, con metodi e collanti inidonei che ne hanno compromesso la conservazione ; i pezzi più significativi, ed ovviamente quelli esposti nella sale sono stati affidati alla ditta “Giuseppe Mantella Restauro Opere d’Arte”.
Si può comunque affermare con certezza che la relazione diretta col territorio ha reso la collezione immune dalla presenza di reperti pseudo-antichi, con l’eccezione di una singolare scatoletta in bronzo con coperchio, ottocentesca.
Se escludiamo i biglietti ed il verbale precedentemente citati, sulla provenienza dei reperti non abbiamo dati certi. Tuttavia il confronto con i rinvenimenti dalle altre aree archeologiche di Medma suggerisce che essi provengano in gran parte dalla vasta necropoli a sud dell’abitato, fra le contrade Nolio-Carrozzo, Testa dell’Acqua e Laccari e in misura minore da Pian delle Vigne, dove erano situati i santuari.
Relativamente scarsa è, infatti, la presenza della coroplastica, rappresentata soprattutto da ex voto frammentari simili a quelli di altre stipi votive medmee: testine e statuette di varie dimensioni, femminili e prive di attributi; una coppia di recumbenti; pochi esemplari di Hermes crioforo, simile a quelli rinvenuti dall’Orsi nella favissa di Calderazzo e un satiro con lepre, forse Bes; piccoli oggetti, come lo scudo e la ruota esposti in vetrina. Databili fra il V e IV secolo a.C., si aggiungono all’arula con sfinge apotropaica, ascrivibile per iconografia, stile e per il colore rosso-bruno dell’argilla, a un’officina locale di fine VI- inizi V a.C e al frammento di rilievo con figura maschile in chitone e clamide, probabilmente appoggiata ad un bastone di almeno un secolo più tardo, entrambi esposti nelle sale museali .
Assai ristretto è il numero dei reperti in metallo, comunque assai significativi per l’identificazione del contesto di provenienza: oltre allo strigile in bronzo con doppio bollo circolare a stella di sedici raggi, bottoncino centrale e bollo centrale rettangolare, raffigurante un’erma con caduceo e protome taurina ai lati, conservato, come detto al Museo di Reggio Calabria, c’è il disco di specchio bronzeo, con bordo leggermente inspessito a formare un orlo dritto, terminante all’estremità inferiore in una linguetta per l’inserzione del manico; entrambi sono databili tra la metà del V e l’inizio del IV secolo a.C. Fra i reperti esposti si annoverano anche un pendente a zampa animale, un pendaglio, tre piccole anse di situla e un’ansetta di olpe in bronzo; fra i reperti depositati c’è da ricordare un pugnale o una punta di spada molto frammentaria in ferro, dalla necropoli di contrada Nolio-Carrozzo, del tutto simile a quelli ritrovati tre anni fa nei magazzini del Museo Nazionale di Reggio Calabria, dispersi per un secolo dopo lo scavo Orsi a Calderazzo.
La classe quantitativamente più rappresentata nella collezione è la ceramica. Quasi tutte le tipologie trovano almeno un’attestazione, anche se frammentaria: comune, fuoco, sigillata, anfore da trasporto. Molti sono gli esemplari miniaturistici acromi o con decorazioni di tipo ionico o corinzio. Considerevole è la quantità di ceramica a vernice nera, soprattutto attica, con un vasto repertorio di forme nel quale prevalgono skyphoi e coppe di fogge diverse, per un arco cronologico fra il V e il II secolo a.C. Molti esemplari sono forati sul fondo, perché utilizzati in libagioni oppure per indicarne la cessazione d’uso.
La collezione comprende anche interessanti vasi, interi e frammentari, a figure nere e rosse, quasi tutti attici. Il più noto è l’anfora a collo distinto che reca sul lato anteriore la disputa fra Aiace e Odisseo per le armi di Achille, su quello posteriore Dioniso fra menadi e satiri, primo dono del professore al Museo di Reggio Calabria. Lo stile e la qualità esecutiva, molto elevata, rimandano alla cerchia del pittore di Antimenes e permettono una datazione all’ultimo quarto del VI a.C.
Essa attesta la qualità oltre che la frequenza della circolazione delle importazioni dall’Attica a Medma allo stesso modo del cratere a colonnette frammentario a figure rosse con scena di corteggiamento fra uomini barbati e giovani donne, cui corrispondono sull’altro lato tre figure di ammantati. Lo stile rivela un ceramografo attico del secondo quarto del V secolo, vicino al Pittore di Alkimachos o al Pittore delle Orcadi.
La forma e le decorazioni accessorie collegano alle officine attiche o a un’officina lucana fortemente atticizzante un cratere a campana a ure rosse dell’ultimo quarto del V a.C. Sul lato principale è rappresentato il ratto di Kephalos da parte di Eos, sul lato B si trovano una menade e due satiri, con in mano contenitori per offerte, perduti.
In conclusione, la collezione Gangemi si presenta nel suo complesso atipica: essa è infatti lontana nei principi che ne hanno regolato la formazione dalla gran parte delle raccolte antiquarie calabresi, grandi e piccole, più conosciute. Come queste ultime, ha accolto e valorizzato pezzi di eccezionale interesse culturale, ma la sua missione non è stata certo l’esaltazione del gusto o l’ebbrezza del possesso da parte del collezionista, quanto piuttosto la conservazione, la tutela e la trasmissione della conoscenza del proprio passato. Vale a dimostrarlo il fatto che i reperti più famosi, quelli davvero eccezionali, non hanno mai costituito, se non per un tempo brevissimo, un beneficio esclusivo del collezionista se non per un tempo brevissimo.
Si potrebbe quindi dire che il marchio distintivo di questa collezione sia dato dalla vocazione stessa del suo collezionista: archeologica più che antiquaria. Il Gangemi ha raccolto, conservato e classificato non ciò che avesse un valore estetico o economico, ma ciò che a suo giudizio avesse un valore educativo; non lo ha fatto solo per l’erudito o lo studioso ma lo ha fatto, soprattutto, per la cittadinanza rosarnese, alla quale ha lasciato la sua eredità, della quale questa volta (ce lo auguriamo vivamente) essa saprà dimostrarsi meritevole.
Lacquaniti, 2014.
Negli ultimi cinque anni gli esempi più significativi hanno riguardato la convenzione quadro siglata dall’ Università degli studi di Udine, dall’Università della Calabria e dalla Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio del Mibact, nel 2016, per lo studio e la pubblicazione dei materiali inediti, depositati nei magazzini del Museo Archeologico di Rosarno; nello stesso anno ha preso il via il progetto di analisi e classificazione della coroplastica proveniente dagli scavi Orsi alla stipe di Calderazzo, curato dalla professoressa Agnes Bencze, associato di arte antica presso la Pázmány Péter Catholic University di Budapest; numerose ed importanti iniziative si sono svolte presso il Museo Archeologico Nazionale di Medma, grazie al gruppo di lavoro interno, guidato dalla dott.ssa Concetta Saffioti e supervisionato dal dott. Fabrizio Sudano, funzionario della Soprintendenza Archeologia Calabria, ma anche per merito dell’equipe dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, che, coordinata dal prof. Franco Prampolini, ha curato nel 2017 la realizzazione del catalogo multimediale e del percorso espositivo per soggetti ciechi o ipovedenti.
Non è questa la sede per ricordare tutte le pubblicazioni scientifiche che si sono succedute nell’ultimo secolo su Rosarno, tuttavia a sintetizzare l’ampio arco cronologico coperto dagli studi sul territorio e i diversi materiali ci limiteremo a ricordare la prima pubblicazione di Paolo Orsi, a seguito dello scavo del 1913 (Orsi 1913, pp. 55-144), ed i più recenti contributi di Eleonora Grillo, e Maurizio Paoletti, dedicati alle ricerche nell’area dello stesso santuario del 2014 ( Grillo 2014, pp. 83-88, Paoletti, 2014, pp. )
Un ruolo determinate in tale percorso di educazione e promozione del paesaggio è stato svolto anche dall’Istituto d’Istruzione Superiore “R. Piria”, diretto dalla prof.ssa Mariarosaria Russo, e da alcune organizzazioni e associazioni di promozione culturale e sociale, come NuovaMente Rosarno OdV presieduta dall’avv.ssa Maria Carmela Greco, riunitesi nell’importante progetto di coesione sociale e sviluppo territoriale sostenibile FaRo Fabbrica dei Saperi, in collaborazione con il Comune ed il Museo Archeologico.
Il titolo viene assegnato dall’allora Ministero per i Beni Culturali e Ambientali con decreto del 15 maggio 1991 ed ha valore triennale fino all’aprile del 1994, ma viene evidentemente rinnovato, dal momento che nei verbali di consegna degli ultimi reperti facenti parte della raccolta di oggetti, egli viene nominato dalla vedova come Ispettore Onorario della Soprintendenza (Archivio Atti Soprintendenza prot. 23091 del 9 novembre 2004)
Alcune delle numerosissime pubblicazioni curate dal maestro sono state da me visonate grazie alla disponibilità dell’architetto Oscar Gangemi, suo figlio nonché curatore della veste grafica di alcune edizioni a carattere monografico.
Si citeranno solo articoli e pubblicazioni che si è riusciti a consultare personalmente Gangemi1997, Gangemi 2000.
Vedi nota precedente. Gangemi 1978, Gangemi 1986.
Ovviamente molti altri sono stati gli eruditi rosarnesi che hanno contribuito alla formazione di un patrimonio di conoscenze su Medma Rosarno decisamente vasto; tuttavia, considerando lo spazio concesso dalla sede, si è scelto di ricordare quelle personalità che hanno contribuito con la loro curiosità e la loro costante disponibilità, alle ricerche che la sottoscritta ha avuto modo di effettuare nella cittadina rosarnese fino all’estate del 2016. Il prof. Verzì Borgese, fondatore e dirigente del Centro studi Medmei, è stato autore di numerose ricerche di carattere soprattutto bibliografico sulla fondazione, la denominazione e la storia di Medma. Il prof. Giuseppe Lacquaniti, a lungo assessore comunale alla cultura e direttore dell’Accademia di arte drammatica della Calabria, può essere ritenuto, per la quantità e la qualità delle sue pubblicazioni, lo storico più prolifico nel panorama rosarnese, le cui opere hanno spesso costituito un valido supporto, una efficace cassa di risonanza per le numerose e costanti ricerche archeologiche che si sono avvicendate nel comune di Rosarno a partire dagli anni Settanta del Novecento e fino alle più recenti scoperte in contrada Calderazzo del 2014 (Grillo 2014, pp. 83-88). Entrambi sono stati convinti sostenitori e promotori dei progetti che hanno permesso la costituzione prima del parco archeologico di Medma (2004) e poi del nuovo Museo Archeologico, inaugurato nell’aprile del 2014.
Gangemi 1985, Gangemi 2003.
Si tratta per lo più di frammenti di pareti di grandi contenitori (inv. 141472; “Rosarno, 8/7/1985, lunedì ore 12,30 Rione Baracche, incrocio via Michele Bianchi”) e di ceramica acroma o da fuoco (inv. 141469, “da piazza Calvario/via Cimitero”; inv. 141471, “Martedì 15/8/1978, ore 11.30. località Punta Safò di Briatico”); qualche interessante frammento di pareti di ceramica a vernice nera e a figure rosse, rinvenuti nei pressi delle aree di scavo (inv. 141468, sacchetto 4; il biglietto reca la seguente dicitura “ Domenica delle Palme 16/4/2000 ( ore 17, 45 circa) Piazza Rione Europa cocci nel materiale di scavo”; alcuni frammenti coroplastici ( inv. 141516, “ Reperti rinvenuti a Rosarno mercoledì 5 maggio 1976 proprietà Gangemi Francesco fu Gregorio, contrada Badia?”; inv. 141522 “ Rosarno- Cimitero Proprietà Naso, 25/8/1979, ore 15”; inv. 141501, sacchetto 2 “ 4/5/1977”);un’eccezionale “spada corta a foglia di lauro allungata con guardamano a traversina” in ferro, purtroppo frammentario e mal conservato, rinvenuta “ in una tomba della necropoli di Medma, lungo il versante Sud-Orientale della collina Nolio nella proprietà Borgese”
Si tratta di frammenti di ceramica grezza raccolti “dall’alunno Cunzolo. Anno 5/10/ 1985” (inv. 141503), di qualche frammento di stemless cup “raccolto dall’alunno Cacciola” (inv. 141504) e di uno strumento litico (inv. 141526), che il Gangemi ricorda essergli stato “portato in aula della “E. Marvasi” di Rosarno, il 29/9/1986 dall’ex alunno di Va (sic) elementare Michele Novella”.
Si ricordano soprattutto i casi di Santino Spataro, autore di un cospicuo rinvenimento di frammenti di anfore, probabilmente d’età romana, consegnate al costituendo Museo Civico e all’allora direttore Gangemi, il 24 febbraio 1988, come ricorda il relativo verbale di consegna, conservato nella stessa cassa dei frammenti. C’è poi lo strano caso dell’olpe miniaturistica rinvenuta il “mercoledì sera 24/3/1999”, da una persona che il Gangemi definisce “a me ignota” così come le circostanze stesse del rinvenimento, che tuttavia il professore situa con una certa sicurezza nella contrada della “necropoli occidentale di Medma- Petto di Nolio”, riservandosi l’associazione ad altri reperti in suo possesso ad un momento successivo all’incontro con questa persona “Contenitore di profumi” di fine V- inizio IV sac. a.C. Il seguente reperto (proveniente sicuramente dalla necropoli occidentale di Medma- Petto di Nolio) è stato portato alla luce da un a persona a me ignota. Come e quando è stato rinvenuto. Ignoro anche l’associazione di altri reperti fino a quando non conoscerò questa persona.”
Ben diversi e poco confrontabili sono insomma, a titolo d’esempio, i casi delle più famose collezioni locresi Candida o Scaglione (Falcone 2015; Sabbione 2015, 156) o della collezione Capialbi da Vibo Valentia (Rotella, 2015, 145- 148).
Il più famoso è sicuramente l’anfora a collo distinto a figure nere della quale si parlerà nelle pagine seguenti, Vd. infra p.5.
Vale la pena ricordare, in questa sede, la lettera che venne indirizzata al Gangemi dall’allora Soprintendente regionale E. Lattanzi il 21/5/1986 (Prot. 9279) per ringraziarlo della consegna di “importante materiale archeologico da Lei a suo tempo rinvenuto a Rosarno il cui prossimo studio fornirà un rilevante contributo alla conoscenza della storia dell’antica Medma”. La Soprintendente prosegue poi ricordando l’importanza dell’attività sul territorio del Gangemi
“ Le rivolgo altresì i sensi del mio vivo apprezzamento per l’opera di sensibilizzazione nei confronti dei beni culturali in genere e calabresi in particolare da Lei svolta con meritevole impegno e assiduità nell’espletamento dell’attività didattica da Lei esercitata nella Scuola” (il testo è citato così come redatto nel documento preso in visione dalla sottoscritta, i.e. privo di punteggiatura).
La vedova del Gangemi, sig.ra Adelina Naso consegna alla SABAP RC Collezioni Private nel giorno 4/11/2004 (verbale in cart. 35, pos. 21, prat.15, prot. 23091 del 9/11/04)
Alcuni materiali, soprattutto quelli prelevati per il restauro, mancano di numero di inventario; la maggior parte del materiale in deposito è stato inventariato tenendo conto del fatto che fosse stato conservato e consegnato in buste: i numeri d’inventario sono pertanto da considerarsi “collettivi”. Alcune fra queste buste, soprattutto di frammenti, hanno il numero di inventario preceduto dalla dicitura “ex”, ma non se ne è riuscito a comprendere il motivo.
Cfr. infra p. 4. Negli archivi del Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria sono conservati anche gli atti che riguardano la consegna del materiale: il verbale, un primo elenco inventariato dei reperti consegnati nel 2004 ed una fotografia, con didascalie dettagliate, redatte a mano, di testine in terracotta, un askos a ciambella e una piccola lekythos attica, non inventariati e che al momento non risultano presenti nelle nove cassette ricognite e riordinate dalla sottoscritta.
Al mio arrivo in Museo i reperti erano suddivisi in cinque cassette di legno, numerate da 1 a 5, una scatola di cartone, la 6 da me sostituita da me con un’altra cassetta di legno, un cassone in plastica (7) nel quale si trovano pezzi d’anfore e grandi contenitori, un’ultima scatola di cartone senza numero e, infine, una cassetta nella parte sottostante alla vetrina denominata “Area sacra” (ora in cassetta 9). Attualmente i materiali non esposti sono suddivisi e riordinati in 9 cassette contenenti reperti e rispettivi elenchi. La ricognizione è stata effettuata incrociando i dati provenienti dalla ricerca nei magazzini con gli elenchi e la fotografia reperiti nei musei di Rosarno e Reggio Calabria (Archvio). Purtroppo non tutti i reperti segnalati nella documentazione cartacea sono al momento reperibili. Gli elenchi, redatti dalla sottoscritta, sono stati ovviamente consegnati al Museo di Rosarno.
Conservata senza numero di inventario nella scatola 7, è stata in un momento non determinabile prelevata e consegnata alla dott.ssa Alessandra Di Natale, della ditta Mantella, per il restauro. Tornata in Museo a Rosarno è stata riposta nell’unica cassetta, contenente materiale Gangemi misto ad altri reperti, nella parte sottostante la vetrina denominata “Area Sacra”. Attualmente la scatoletta si trova conservata, insieme ad altri pezzi della collezione, nella scatola rinumerata dalla sottoscritta con il “9” (ex sottovetrina area sacra) contenente pezzi senza numero di inventario.
Vd. note 12 e 13.
Da una conversazione con il prof. Ugo Verzì Borgese abbiamo appreso che il prof. Gangemi possedeva alcuni terreni in prossimità delle aree necropolari citate, in contrada Zippone.
Forse Hermes o Eracle.
Paoletti, 1977-18, 43-59; Paoletti 2014, n. 322.
Lacquaniti 2014, p. 207.
Rotella 2005, pp. 249-250.
Secondo i più recenti studi in materia una collezione può essere realmente definita tale quando ospiti al suo interno reperti che detengano un «eccezionale interesse culturale», in conformità al D.Lgs 42/2004, art. 10, comma 3 lettera e. Sulla definizione di ‘collezione’ e sui relativi estremi di riferimento sia in giurisprudenza, sia in dottrina si vedano Sandulli 2012, p. 5 e Famiglietti, Pignatelli 2015, p. 68. Un recentissimo studio sul tema è stato condotto negli ultimi anni presso la Sabap ve-met, nella sede di Padova, dalla dott.ssa E. Pettenò e dal dott. R. Tasinato, ed è stato presentato nel corso della Anthropology of Forgery, Winter School organizzata dal Dipartimento dei Beni Culturali dell’Università di Padova, nel marzo 2019.
Negli atti documentali delle prime donazioni non abbiamo potuto reperire notizie sulle date e i luoghi dei ritrovamenti di questi pezzi. Tuttavia l’ipotesi personale è che il Gangemi, abbia riconosciuto fin dall’inizio la rarità e il valore culturale dei reperti oggi più famosi, decidendo, pertanto di affidarli immediatamente, o dopo pochissimo tempo alle cure della Soprintendenza.