Di Antonio Lacquaniti
*Articolo pubblicato sulla testata giornalistica “Il Provinciale” 15- 21 giugno 1985
Vincenzo Lacquaniti è nato a Rosarno l’1 gennaio 1905 da Vincenzo e Maria Angela Agasi. È stato Segretario della Federazione Provinciale Reggina del Gruppo Scrittori e Artisti Calabresi. Collaboratore delle più prestigiose riviste letterarie calabresi, tra cui “Il Calabrese”, “La Procellaria”, “Calabria Letteraria”, ecc. Corrispondente per molti anni della “Gazzetta del Sud”, “Il Tempo”, “Il Corriere dello Sport”, “La Gazzetta dello Sport”, “Il Gazzettino dello Jonio”. Musicista e paroliere, si è aggiudicato nel 1952, con il gruppo folkloristico rosarnese, il Microfono d’argento, concorso indetto dalla Rai, con la canzone “Paradisu calabrisi”.
Di Vincenzo Lacquaniti ricordiamo l’amore viscerale, sconfinato e struggente per la sua Rosarno e per la Calabria; amore che egli espresse in tantissimi anni di militanza e impegno culturale. Come corrispondente dei maggiori quotidiani portò all’attenzione del pubblico i problemi locali, la storia, la tradizione e i costumi della nostra terra; come musicista e poeta lasciò bozzetti di intensa commozione lirica che esaltano e dipingono più caratteristici di Rosarno e dell’intera Calabria; infine come scrittore, nella tragedia calabrese “ La figlia del fattore”, l’opera sua più significativa, ha rappresentato le condizioni di miseria e di sventura che incombono su una società, come la nostra, quando sopravvivono tabù e mentalità arcaici.
“La figlia del fattore”, tragedia calabrese in 3 atti, fu pubblicata nel lontano 1937 a Palmi (Rc) dagli editori Alessandro Genovesi e figli. È la storia fra la giovane Rosa e il pastore Mico; storia che finisce male e sottolinea le condizioni di un periodo e di una mentalità patriarcale. Il libretto ha una dedica: “Al Generale Raimondo Naso- primo cittadino di questo mio caro paesello-e primo a incoraggiare-la messa in scena- di questo mio lavoro- in due teatri della provincia”. Ecco cosa dice la prefazione del libro stilata dallo scrittore reggino Ugo Arcuri: “(…) Noi non vogliamo selezionare e mettere in luce i pregi artistici dell’opera di Lacquaniti. Se la tragedia ci è piaciuta o no, gliel’abbiamo detto fraternamente a voce, senza alcun bisogno di farne materia di un ormai incartapecorita anticamera per i lettori. Ma quello su cui è necessario soffermarci non è il valore intrinseco del libro, bensì l’importanza che esso assume in funzione di un problema regionale di non trascurabile levatura. Vogliamo dire della necessità di un teatro calabrese nel senso esplicativo della parola: un teatro che sia cioè lo specchio di un carattere, delle tradizioni, dei costumi, delle usanze, dell’anima e della vita in genere del calabrese. Altri prima e meglio di noi si sono occupati dell’argomento. Se oggi un teatro calabrese ancora non c’è, il fatto è dovuto anche e soprattutto alla mancanza di un dialetto unico per tutta la regione. Ed allora per realizzare l’aspirazione sarebbe necessario che lo scrittore in vernacolo prescindesse dalle espressioni tipicamente paesane nelle sue creazioni drammatiche e usasse un complesso di vocaboli che per la loro origine eminentemente calabrese, fossero comprensibili in tutta la regione e avessero modo di guadagnare i galloni per una geografia più ampia. Qua vorremmo soggiungere che le filodrammatiche dei Dopolavoro di provincia dovrebbero di preferenza accettare queste opere, e creare così una vera e propria coscienza del teatro calabrese, il quale andrebbe mano mano perfezionandosi fino a raggiungere una propria e definita entità (…). “La figlia del fattore”, ha incontestabilmente il merito di mettere in buona luce vita e caratteri della nostra terra e di saperne cogliere gli attimi più efficaci, per cui merita di essere considerata un primo tentativo per arrivare alla grande realizzazione. Come tale la presentiamo ai lettori e soggiungiamo subito col poeta che “fare un libro è niente, se il libro fatto non rifà la gente”.
Era solo il 1934 quando Vincenzo Lacquaniti da pioniere del teatro iniziò questo discorso e riuscì a farlo sino a quasi la fine del ’40. Ma la guerra e la mancanza di aiuti a livello culturale finirono per calare la tela su questo progetto: un teatro calabrese. Con buona volontà, e con la penna, era riuscito a smuovere le acque e creato una coscienza degli intellettuali dell’epoca. Oggi a distanza di tanti anni, si ripiglia il discorso del teatro calabrese e questo grazie anche all’Associazione Teatrale Calabrese, che con Antonio Panzarella, Pino Lacquaniti, Gianfranco Sofia troviamo i più impegnati a sensibilizzare, soprattutto la classe politica, per dare una figura al teatro calabrese. L’impegno dello stesso Lacquaniti lo troviamo in Rodolfo Chirico con la Scuola di recitazione e di dizione, in Zolea, Raffa, Arconte e altri amici calabresi, che tentano di creare quello spazio che Edoardo De Filippo chiamò vita.

Vincenzo Lacquaniti
Antonio Lacquaniti, figlio di Vincenzo, è nato a Rosarno nel 1951. È poeta, artista e scrittore.