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Qual è il peccato di hybris di Ulisse?

Michael Negri
Michael Negri
2025-10-15 23:34:08
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La figura dell’Ulisse delineata da Dante ha una grande complessità e presenta una moltitudine di contraddizioni. Da un lato, Ulisse è un peccatore di “hybris”, quella superbia che rende giustificata la sua eterna punizione. Egli, infatti, non ha solo, per natura o desiderio, tratto in inganno chiunque potesse, ma ha anche osato cadere vittima della “follia”. Non è la prima volta che Dante utilizza tale termine. Lo fa anche nel II canto dell’Inferno con il medesimo significato: folle è colui che trasgredisce il volere divino per tracotanza. L’eroe è mosso dall’ardente desiderio di conoscenza, di espansione dei propri orizzonti, ma non considera la gravità della propria impresa: sta superando un limite inviolabile.
Gerlando Ferraro
Gerlando Ferraro
2025-10-09 10:52:40
Numero di risposte : 6
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Ulisse è certamente noto per la sua sete di curiositas, di conoscenza, l’arma che permette di abbattere ed oltrepassare le barriere della mente. La sua è una passione intellettuale, che soffre i limiti, che divora il non-sapere e il non-potere, che segue solo se stessa. E’ “la stessa forza che mi sposta e soprattutto hybris”, Hybris è volontà di potenza, è il desiderio di porsi al di sopra degli dèi, della conoscenza che essi hanno concesso agli uomini. E sarà proprio questo peccato a condannarlo alla morte.
Carmine D'angelo
Carmine D'angelo
2025-10-03 03:21:52
Numero di risposte : 6
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Il ‘folle volo’: la sete di conoscenza come hybris. La sete di conoscenza, una hybris culturale, fa di Ulisse il simbolo del mondo antico nella sua coscienza più alta. Egli non ha il distacco degli «spiriti magni» del Limbo, ma appare travolto da una passione che cancella la necessità di controllare le doti naturali. La sua sete di conoscenza diventa il fine stesso del viaggio, una forma di superbia intellettuale (hybris).
Miriana Ferri
Miriana Ferri
2025-09-20 23:04:07
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Ma pensiamo anche all’Ulisse di Dante, che spernacchia il non plus ultra delle colonne d’Ercole e si lancia all’esplorazione coi suoi sodali («[...] non vogliate negar l’esperïenza, / di retro al sol, del mondo sanza gente. / Considerate la vostra semenza: / fatti non foste a viver come bruti, / ma per seguir virtute e canoscenza.») — e viene affondato con tutta la nave e la ciurma. La hybris, proprio in una dimensione che anacronisticamente possiamo considerare come peccato, coglie una misura di tracotanza, che è presunzione di potere, così elevata da fronteggiare direttamente l’ordine superiore, suscitandone la tremenda vendetta. In pratica non c’era peccato superiore all’oltraggio dell’hybris, nella cultura greca. Credere di potersi pareggiare alle divinità superiori, credere di poter trasgredire il loro comando, credere di poter sovvertire l’ordine costituito è un genere di superbia davvero sommo, inconfondibile con mera sbruffoneria e vanità, capace di portare a esseri umani e sovrumani disgrazie non solo funestissime, ma perfino perpetue o ereditarie. Tutta la superbia è un problema di limite. In realtà praticamente ogni comportamento che concepiamo come ‘peccato’, secondo paradigmi diversi, è un problema di limite, il peccato è una trasgressione — tant’è che a ben vedere Dante nell’Inferno non individua nemmeno una categoria a sé di superbi, solo nel Purgatorio c’è (per quanto in fondo all’Inferno agiti vanamente le ali un ex-Lucifero, che è il superbo per eccellenza).