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Cosa ci insegna il mito di Ulisse?

Gino Marchetti
Gino Marchetti
2025-09-10 23:42:13
Numero di risposte : 6
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Ulisse e le emozioni Da questo punto di vista è profondamente emozionante e capace di toccare le nostre corde più profonde, l’immagine di un grande eroe, artefice grazie all’espediente del cavallo della vittoria dei greci nella guerra di Troia, capace di guardare in faccia alle proprie emozioni, anche quelle più intense, di viverle, conoscerle, gestirle. E’ questo un aspetto molto bello, sul quale vale la pena soffermarsi. La nostra vita è nella società, è nell’incontro e nel dialogo con gli altri. Conoscere e gestire le emozioni Per fare tutto questo, però, prima di tutto è fondamentale saper guardare noi stessi e le emozioni che proviamo. Riuscire ad ascoltare prima di tutto noi stessi, a riconoscere le nostre emozioni, controllarle, sia quelle positive, sia quelle negative, ci aiuta a tracciare delle linee da seguire. Il dialogo con noi stessi e ciò che siamo è il vento che ci consente di navigare nel mondo e nella società e di avere ben saldo il controllo del timone, anche quando davanti a noi si presentano difficoltà, ostacoli, sentimenti negativi. Ulisse quindi ci insegna, come canta Guccini nella sua Odysseus a reinventarci un mito ad ogni viaggio, a ridisegnare il mondo a ogni incontro. Per questo dobbiamo avere la capacità di prenderci cura dei nostri sentimenti. Solo così il nostro naufragare potrà diventare un viaggio di crescita, di trasformazione.
Tristano Sala
Tristano Sala
2025-09-10 21:26:57
Numero di risposte : 3
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I grandi temi che riguardano la condizione dell’essere-bambino, come quello tra il bisogno di sicurezza e curiosità nei bambini, sono infatti mirabilmente rappresentanti e sintetizzati nel rapporto fra Ulisse e il mare. Il rapporto tra Ulisse e il mare si sa, ha una doppia natura ed è su questa duplicità che è improntato il viaggio di Ulisse nell’Odissea. Ora, che cosa significa mettere in viaggio i bambini se non porli di fronte alla contrazione e dilatazione perenne del binomio “desiderio di scoperta/bisogno di sicurezza” e quindi di fronte alla declinazione in tutte le altre coppie di ossimori da esso derivanti ovvero: conosciuto/sconosciuto, conoscibile/inconoscibile, percorribile/impraticabile, pieno/vuoto? Significa comporre l’apparente inconciliabilità degli opposti in una misura, in un equilibrio che altro non è che la sapientissima e difficilissima arte dell’educare. Lanciare i bambini semplicemente nel vuoto significa affondarli a priori, e questo accade quando abbandoniamo i bambini a se stessi. E’ solo una visione guidata dall’adulto che può accompagnarli nel mare aperto di ciò che è ancora sconosciuto e mettere alla prova la loro intuizione. Intuizione e immaginazione, quindi, come risorse per non ‘naufragare’, per ridisegnare frontiere, oltrepassare confini, sfidare paure, il tutto lontani dalla propria casa. Perché solo dimorando per qualche tempo lontano, nell’inconosciuto, il bambino può solcare il mare della vita, certo però potrà fare ritorno a casa. Noi adulti dobbiamo porci, nell’atto educativo, come un’àncora, ma solo dopo aver disegnato uno spazio-scenico di esplorazione, meraviglia e azione con confini ben definiti e visibili dall’adulto e nel quale i bambini si sentano incoraggiati ad avventurarsi. Credo che quella di Ulisse e dei suoi viaggi, possa in questo senso essere un’immagine molto chiara e utile nel processo educativo. Molto spesso, infatti, la tendenza è quella o di chiudere la navigazione dei nostri bambini nel solo mare conosciuto e mappato dall’adulto o al contrario di lanciarli in mare aperto in nome di una libertà che di fatto si traduce in una mancanza totale di schemi e di riferimenti e che quindi ha come unico risultato quello di bloccare il bambino anziché di predisporlo all’azione.